Da quando te ne
sei andata, tutto è cambiato e niente è cambiato, amica mia.
Ho appeso le
scarpe da tango al chiodo, non ne voglio più sapere di ballare il tango senza
di te.
Ma non ho smesso di vivere, sai, tutt’altro. In questi 365 giorni la vita l’ho divorata: ho amato, remato,
lavorato, sono stata sotto i ferri due volte e dopo 2 giorni ero di nuovo a
cavallo dei miei giorni. Ho spaccato i maroni ai miei chirurghi che mi hanno
sbagliato un verbale post operatorio scrivendo che mi avevano tolto quello che
non avevano affatto tolto. Ooohhh,
quanto ti ho pensato anche in quel momento. Avevi fatto lo stesso anche tu in un uno dei tuoi
mille ricoveri. Sbagliano 'sti crisi, sono umani, ma il paziente non deve mai
abbassare la guardia proprio per questo motivo, l’errore può scappare.
Da quando non ci
sei più, amica mia, ho continuato a frequentare lo IOV ma lentamente ho
cominciato ad attraversare quei corridoio con occhi diversi. Quell'ospedale era diventato il nostro posto. Tu
eri spesso lì e io quando potevo correvo al tuo fianco o ai piedi del tuo
letto. L’ultima volta che ci siamo viste ti dissi che avevo voglia di vederti
anche per una pizza; eravamo riuscite a scappare via dalla visita di un prete che
non ti piaceva affatto (Ale ci aveva coperto la fuga distraendolo in
chiacchiere) ed eravamo scese a fumare da una uscita secondaria, imboscate tra
ambulanze e carrelli a ridere e a parlare.
Dicevo a proposito dello IOV,
non so se sia stata la rabbia per non trovarti più li il motivo per cui ho cominciato a maturare dentro di me una serie di riflessioni... Un giorno, seduta in
attesa della mia ultima visita con l’oncologo, mi sono guardata attorno, ho
osservato di sottecchi la signora cinquantenne calva davanti a me, stava a malapena
in piedi, ho guardato poi la mia coetanea alla destra e le due signore chiacchierone un po’
più in la… esattamente lì in quell’istante, ho cominciato a capire il tuo forte senso di
te, il tuo sguardo razionale della realtà per come
è, senza nulla togliere, per carità, ma anche senza nulla aggiungere. Insomma,
tu eri brava a dare un nome alle cose.
In questo anno
senza di te sono scappata dal dolore della tua perdita tante volte. Altre volte l'ho affrontato ma raramente ci sono rimasta dentro a lungo, velocemente mi sono protetta con una distrazione. Ma so che
tu, se ci sei lassù, mi capirai benissimo. Un mese fa ero a cena con le altre
due Marta della mia vita, la tua assenza lì stava per diventare un urlo di
dolore che avrebbe fatto saltare dalle sedie tutti i commensali. Ho ingoiato l’urlo,
sorriso alle due mie amiche trattenendo a stento le lacrime, e ho fatto un
brindisi a te da sola, per non metterle in difficoltà con il pensiero della
morte. Loro ti pensano e avrebbero brindato con me. Sono delle grandi donne, come te. Mi manchi, piccolina.
Elisa