martedì 3 febbraio 2015

Dalla parte di Angelina Jolie



E' passato diverso tempo dalla notizia della doppia mastectomia della Jolie. Il mondo si divise in due, come al solito: chi era d'accordo con la sua scelta e chi no. Anche tra le mie amiche cancer bloggers se ne discusse tramite qualche post e commento successivo. Ad esempio, una per tutte, ne parlò Giorgia, blogger de "Il mio karma" (clicca qui per leggerlo). 

Io partecipai al dibattito con qualche commento ma decisi di attendere un secondo momento per riaffrontare la questione dal mio punto di vista.

Antefatto: La madre di Angelina Jolie muore a 56 anni dopo dieci anni di malattia: cancro al seno. Angelina si sottopone ad un esame genetico per capire se ha ereditato dalla mamma un paio di geni che potrebbero alzare notevolmente il rischio di ammalarsi di tumore al seno. I due geni in questione sono il BRCA1 e BRCA2. Angelina risulta portatrice del primo, il BRCA1. 
Se volete approfondire l'argomento qui trovate informazioni molto più dettagliate sul test.
Intanto sappiate che chi è portatore di questo gene, ha l'87% di probabilità di ammalarsi di cancro al seno e tra il 44-60% di probabilità di ammalarsi di cancro all'ovaio. 
Ora, scettici finché vuoi con quel frescone di Gauss e la sua radice quadrata della varianza, i numeri son alti. C'è da non riuscire a dormirci sopra.

Fatto: la bella Angelina, madre super gnocca di 6 figli, ha preso una decisione difficile, durissima, coraggiosa: via le tette. E la mastectomia non è la stessa cosa di un intervento di ricostruzione a cui si sottopongono le donne per ripristinare un seno decaduto. No, no. E' un intervento molto più strong. Il risultato spesso son due tette di marmo che anche il compagno più allupato non riesce ad agguantare. 
E ora lo sa pure Brad Pitt la differenza...

La Jolie ha dato la notizia ai media (e ha fatto bene) per due motivi:
1) perchè ha reso noto al grande pubblico l'esistenza dell'esame genetico BRCA1 e BRCA2. Perché qualunque donna abbia avuto una mamma, una nonna, una zia con tumore al seno DEVE fare quell'esame e devono farlo pure le sue figlie femmine. Perché chiunque risultasse positiva, potrà anticipare i controlli e intensificarli. I tumori giovanili sono in aumento. Sapere di essere portatrice di uno di questi geni permetterà a molte donne di anticipare l'età dei controlli. 
2) Angelina è mamma. Mamma di 6 figli. Mica pochi. E' vero che lei ha i soldi ma una mamma è una mamma, che tu sia ricco o povero. Quindi ha fatto una scelta che merita rispetto. Una scelta di prevenzione. Molte donne si fanno le tette finte per farsi belle, lei se le è fatte per essere più sicura di non ammalarsi. Con il suo esempio, Angelina ci ha fatto sapere che è possibile scegliere anche per la mastectomia preventiva.

Anch'io ho fatto a suo tempo la scelta della mastectomia preventiva. Nel mio caso, però, la malattia si era già manifestata ad uno dei seni. Il mio tumore aveva una serie di caratteristiche di aggressività che, dopo un confronto con il mio oncologo, ho deciso di togliere anche l'altro seno. A distanza di tre anni, la mia scelta come quella di altre mie giovani amiche che hanno preso la medesima decisione, risulta essere vincente. Difficile trovare un oncologo che si assuma la responsabilità di proporti una mastectomia bilaterale. Nel mio caso, infatti, sono stata io a proporlo alla mia oncologa. E così hanno fatto le mie amiche. E' UNA SCELTA PERSONALE MA SI DEVE SAPERE CHE DEVE ESSERE PRESA IN CONSIDERAZIONE. senza giudizi morali da parte di nessuno.







sabato 12 luglio 2014

I miei quattro conti con il dolore e la morte






Siamo a casa da soli, io e mio figlio, stasera. Abbiamo cenato come due fidanzatini, uno davanti all'altro, in salotto, senza TV. L'ho ascoltato raccontare le sue storie tra realtà e fantasie mentre, tra uno sguardo innamorato e l'altro,  gli urlavo di stare composto e di non mettere i piedi sul tavolo. 
Poi, ad un certo punto, nel pieno di questa estasi mista di amore vero e autocompiacimento (come mi è venuto bene!), ho pensato a Marco, che non ha potuto conoscere mio figlio e che per un giorno (lui è mancato il 2 maggio 2009 ed io ho saputo che aspettavo Renato l'1 maggio) non ha potuto neppure sapere da me che sarebbe arrivato. Ed ho provato un dolore acuto, una sorta di senso di disorientamento che ho dovuto lasciare velocemente per non spaventare il mio cucciolo che poco sa ancora di questo "zio" che non è più tra noi. 

Penso a Marco spesso ma ho imparato a gestire il dolore. Tranne qualche giorno fa, quando davanti ad una persona che ha acceso una sigaretta esattamente come faceva lui, mi sono ritrovata a piangere a dirotto, come se improvvisamente mi fosse saltato via un tappo dal cuore. 
Non è vero che il tempo allevia il dolore. Il dolore, quando arriva, è sempre uguale, se non più forte. Il tempo aiuta a trovare il modo di gestirlo perché noi si possa sopravvivere. Dice bene Angelo, il marito della nostra amata Wide nel suo ultimo post "E’ sempre peggio dopo. Chi lo ha vissuto lo sa. La sensazione di vuoto può arrivarti potente all’improvviso, da dietro, o esplodere da dentro in un istante, e travolgere ogni cosa come un tornado, che passa e lascia una scia di silenzio stordito e dolorante".
Avere dei figli aiuta tantissimo. Ho una meravigliosa distrazione di nome Renato che mi ha traghettato fuori dalla morte di Marco e poi, un anno e mezzo dopo, fuori dalla mia malattia. Ma il dolore non è inversamente proporzionale al tempo che è trascorso da quando la persona a noi cara se ne è andata. 
Lo dice bene anche la mia amata Emily Dickinson:


Sento spesso la mamma di Marco. Il suo dolore è disperazione. Implacabile, indomabile. Durante le nostre conversazioni telefoniche mi chiede spesso  perché dovesse capitare proprio a suo figlio di morire. E ancora, perché non è capitato a lei anziché a lui che aveva ancora tutta la vita davanti (Marco aveva 43 anni).  Con tutta l'umiltà che posso davanti ad argomenti così grandi e ad un dolore incommensurabile quale è il suo, tento una risposta (come direbbe Marco) a me e a lei. 
I giorni successivi alla morte di Marco, ricordo che mi sembrava quasi impossibile che tutto potesse esistere anche senza di lui. 
La sua città, Mestre, viveva e mi si presentava davanti uguale a se stessa nonostante lui non fosse più lì, nel suo ufficio, a casa, o lungo qualche strada di ritorno dalle sue cose. 
Ma come è possibile che tutto non si cancelli, che tutto questo esista ancora nonostante lui non ci sia più? 
E da lì, come una bimba che impara a fare le addizioni con le dita, ho cominciato a ragionarci seriamente sopra e a capire (meglio tardi che mai) che la morte non guarda in faccia nessuno. Neppure lui, il mio Marco. 
Che non esiste colpa per la nostra morte precoce (se siamo stati un po' cattivelli)  né ingiustizia (se invece eravamo persone rette e buone). Se vogliamo, potremmo parlare di sfiga. Ma lo trovo poco elegante nei confronti della persona di cui si sta parlando e della vita stessa. Il discorso di per sé, è banale, se non fosse che la nostra visione antropocentrica ci fa diventare l'ovvio una verità celata.

La medicina ha fatto passi da gigante negli ultimi 50 anni. La vita media si è allungata incredibilmente e noi uomini occidentali, cullati da un servizio sanitario che critichiamo ma che ancora ci cura, cominciamo a convincerci di avere il diritto a campare mediamente 80 anni, e anche qualche anno in più se siamo femmine. Sbagliato! E' una visione distorta della realtà che non ci aiuta ad accettare quello che ci capita o che capita a chi amiamo.
Poi ci sono le guerre. Quelle ammazzano bimbi, donne, tutti, indistintamente. Ma noi occidentali di guerre ne vediamo poche da qualche decina di anni. E i telegiornali ci evitano di farcele vedere per non farci perdere l'appetito e il sorriso idiota. Il sorriso idiota, sì. Quello vogliono, diceva una canzone di Vecchioni. 

Parlare di morte non mi spaventa. Parlare di cancro non mi spaventa. E' la mia vita. E non posso prescindere. Parlare di morte non mi farà morire prima. Io ci convivo con il pensiero della morte. Dovremmo tutti. Aiuta a vivere meglio il presente, fidatevi. 
Alcuni dei miei amici sono persone come me, che hanno affrontato la malattia o ancora la affrontano ma con una ironia e una forza che sono preziose come l'acqua che ci fa vivere tutti i giorni. 

Mi manca infinitamente Wide che sul tabù della morte ha scritto tutto quello che c'era da dire sull'argomento (ovviamente dal punto di vista del malato oncologico). 



Mi fa tenerezza la mia mamma quando si preoccupa per me perché un mio amico sta male o perché devo affrontare l'ennesimo controllo... Queste cose non ti fanno bene, mi dice. E io invece, mi preoccupo per lei perché questo suo atteggiamento mi fa capire che non sarebbe pronta ad accogliere notizie infauste che mi riguardano. D'altronde, quale madre lo sarebbe?
E ritorniamo al punto di partenza di questo post: il dolore non passa e non passerà. Si può solo imparare a gestirlo. La comprensione delle dinamiche della vita e della morte fanno parte della nostra parte razionale. Il dolore della nostra parte emotiva. 
La morte di Marco e la mia malattia mi hanno obbligata a farmi molte domande e a tentare qualche risposta. Le risposte che mi sono data non hanno avuto l'effetto di diminuire il dolore per la sua morte ma di sicuro mi hanno aiutato a canalizzarlo, e a volte perfino a trasformare il mio dolore in amore. L'amore che ho ricevuto da lui e che ora cerco di dare al prossimo per dare un senso di eterno a lui, a noi e al nostro esserci amati in modo così bello e speciale.









mercoledì 22 gennaio 2014

IOV: adesso tocca a te fare la mossa giusta


Chi mi legge da tempo, sa che questo blog non è solo mio. Appartiene anche alle mie tante amiche malate di cancro e a tutti coloro che si trovano per la prima volta davanti alla malattia e non sanno che fare.
Questa mattina presto ho ricevuto l'ennesima telefonata terrorizzata. Che cosa sta succedendo allo IOV? Mi ha chiesto Sabrina, all'altro capo del telefono. Mi racconta una storia che so già come va a a finire ma la lascio terminare il suo racconto. In questi ultimi 4 mesi di telefonate così ne ho ricevute parecchie. 
Allo IOV le cose non stanno andando bene, mi dicono tutte. La dott.ssa Ghiotto non è più in day hospital, è tornata a fare il medico di reparto. La dott.ssa Falci pare sia incinta e quindi non c'è. A visitare i pazienti, sia in day hospital pre-terapia, che nelle fasi successive di follow-up, sono altri medici oncologi oppure medici specializzandi. Le mie amiche mi raccontano di visite mediche in cui non si sono sentite debitamente prese in cura.  Il passaggio di consegne da un medico all'altro non è mai cosa semplice ma bisogna anche ricordare che qui si ha a che fare con gente malata di cancro e non con l'otite (con tutto il rispetto per chi ha l'otite). Sto male. La mia ultima volta allo IOV risale a qualche mese fa, quando sono andata a prenotare le visite di controllo. Come al solito, ho trovato tanta disponibilità. Il mio ultimo follow up risale invece a settembre. Il prossimo a febbraio. Nel precedente avevo trovato una brava specializzanda che mi aveva ispirato competenza e fiducia.  
Con questo post, do voce al senso di disorientamento delle mie amiche e anche mio. Perché sono spaventata, è ovvio. Ma voglio rinnovare la mia fiducia allo IOV. E così ho chiesto di fare alle mie amiche. Di pazientare ancora qualche mese. Altra notizia è che il dr. Muzio, direttore generale dello IOV, si sia dimesso qualche mese fa e ancora non sia stato sostituito.
Ho chiesto a tutte coloro che mi hanno chiamato di scrivere allo IOV per raccontare questa situazione di disagio.
Farò lo stesso io con questo post. Che non vuole essere denuncia ma sprone per lo IOV a ritrovar se stesso.

mercoledì 20 novembre 2013

Que se vengan los chicos


Che vengano i bambini, a darci la forza.

Arrivederci Wide, già mi manchi.
Sei un'anima bella e profonda.
So che ci guiderai.



QUE SE VENGAN LOS CHICOS

Que se vengan los chicos 
de todas partes, 
que estén los de la Luna 
y los de Marte 

Que se vengan los chicos 
de los planetas, 
prendidos de la cola 
de algún cometa 

Que no falte ninguno 
a mi cumpleaños, 
y que no se preocupen 
por los regalos 

Tra lara lara lara 
tra lara lero, 
que estén todos los chicos 
del mundo entero 

Algunos que de Venus, 
dicen venían, 
trajeron de regalo 
Las Tres Marías 

El chico de la Luna, 
petiso y fiero, 
me regaló una nube 
que halló en el cielo 

Los de Marte me dieron 
un sorpresón, 
pues cada uno traía 
rayos de sol 

Tra lara lara lara 
tra lara lero, 
ya están todos los chicos 
del mundo entero

lunedì 28 ottobre 2013

Il cancro mi ha reso una coniglia un po' psicotica

Sono mesi intensi, questi. Dopo un mese di agosto in cui mi sono riposata tanto (finalmente...), settembre e ottobre sono volati tra uno slalom e l'altro, famiglia e lavoro.
Sono mesi emotivamente intensi, che mi stanno regalando momenti di grande serenità e gioia e al contempo momenti di  tristezza e pensieri difficili. Anche qui, un vero proprio slalom tra la felicità condivisa con Renato e Mauri e la preoccupazione e la tristezza per chi non sta bene e sta lottando (Marta, la mia amica dottoressa e Wide). E anche se so che questa è la vita e non mi sottraggo, mi sento sempre un po' scissa dentro....
 

Da quando mi sono ammalata, ho cominciato a soffrire di una serie infinita di psicosi:  attacchi di panico, paura dell'aereo, claustrofobia, paura dell'acqua.
Non mi faccio sopraffare dalle mie paure e cerco di reagire ma è dura. Questo mese ho dovuto prendere quattro aerei: all'ultimo volo ero uno straccio.
Eppure il cancro mi ha fatto prendere consapevolezza del mio coraggio e della mia forza e nella mia quotidianità mi sento più dentro, più centrata, più efficiente. Eppure è evidente che c'è qualcosa che non va.
Ho il terrore di morire per qualcosa che non sia il cancro.Ecco la mia spiegazione razionale. Come quando mi sono sottoposta all'intervento per la ricostruzione. Ero incazzata nera perché avevo paura di rimanerci secca sotto i ferri. Pensate, magari sopravvivo al cancro ma poi finisco i miei giorni dentro un aereo che si schianta. Che presa in giro! Forse, dall'alto, riderei pure dell'assurdità della mia fine :-)

Leggevo mesi fa un post meraviglioso sull'argomento http://meandmrsk.wordpress.com/2013/07/25/acqua-ancora/
Mi permetto di girarvelo, Questa persona ha reagito esattamente in modo opposto al mio. 
A questa persona il cancro l'ha aiutato a superare la paura dell'acqua agendo a livello profondo, nelle sue paure. E, secondo me, non fa una piega. Quando ti arriva addosso una mazzata come la bestiaccia, beh, tutto il resto è secondario, è piccolo e superabile... 

Ma allora perché io sono diventata una coniglia psicotica?



lunedì 29 luglio 2013

5°CONCORSO LETTERARIO "Donna sopra le Righe" 2013 - bando di gara




Qualche giorno fa, la mia amica Cristina ha voluto segnalarmi questa bella iniziativa. 
La pubblico qui sperando possa essere utile soprattutto a qualche amica cancer blogger.

5°CONCORSO LETTERARIO "Donna sopra le Righe" 2013 

Riferimenti:
Associazione iosempredonna – onlus 
VIA SOLFERINO N° 35 - 53042 CHIANCIANO TERME (SIENA) - tel: 0578/30114 
(martedì e giovedì dalle ore 16 alle ore 18)
iosempredonna@libero.it - www.iosempredonna.it

Iosempredonna, per offrire spunti di meditazione a chi ha vissuto direttamente o indirettamente l’ esperienza del Tumore al Seno, promuove la 5a Edizione del Concorso Letterario "Donna sopra le Righe".
IL CONCORSO È SUDDIVISO IN 3 SEZIONI:
Sezione racconto breve - Sezione racconto lungo - Sezione poesia
Parlare di tumore al seno con il linguaggio delle persone toccate da questa esperienza che ha lasciato un segno profondo, è parlare di un’ esperienza che si introduce nella vita della donna e nella famiglia, narrando sentimenti, emozioni, trasformazioni, relazioni: testimonianze  che permettono di superare le barriere culturali e psicologiche legate ad una non corretta conoscenza della malattia.
Gli elaborati che concorreranno dovranno avere i seguenti requisiti:
Sezione racconto breve -  il racconto non potrà essere più lungo di 3 cartelle (foglio A 4) e deve avere la seguente formattazione: carattere Arial 12, interlinea 1,5, carattere 12
 Sezione racconto lungo - il racconto non potrà essere più lungo di 20 cartelle (foglio A 4) e deve avere la seguente formattazione: carattere Arial 12, interlinea 1,5, margini 2 cm, formato word
 Sezione poesia
L’ ISCRIZIONE AL CONCORSO è gratuita.
1. Gli elaborati dovranno essere scritti al computer: 
a) una copia firmata in originale dovrà essere spedita insieme alle 2  LIBERATORIE ed alla DICHIARAZIONE dell’AUTORE alla Segreteria del Concorso Letterario “Donna sopra le Righe” associazione IOSEMPREDONNA - Casella Postale n° 18 - 53042 Chianciano Terme (Siena)
b) una copia dovrà essere inviata tassativamente via e-mail in formato Word all'indirizzo: donnasopralerighe@libero.it
2. Le opere dovranno pervenire entro e non oltre il 16 Agosto 2013 alla Segreteria di IOSEMPREDONNA - Onlus. Farà fede il timbro postale o la data della mail spedita. 
3. E’ ammessa la partecipazione a tutte e tre le sezioni contemporaneamente, ma non potrà essere inviata più di un'opera per ciascuna sezione. 
4. Gli scritti presentati non potranno essere già stati pubblicati o premiati in altri concorsi (pena esclusione)
5. Le opere pervenute non saranno restituite. 
6. L’Associazione si riserva di usare gli elaborati per eventuali sue pubblicazioni.
7. I primi tre classificati (che saranno direttamente informati) dovranno obbligatoriamente partecipare alla Cerimonia di Premiazione che si terrà il 5 ottobre 2013 - alle ore 16.00 - presso la Sala FELLINI del Parco Acquasanta di Chianciano Terme (Siena). In caso di improvvisi contrattempi che impediscano la partecipazione, i premi non saranno inviati.
8. Verranno premiati e saranno letti pubblicamente (per intero o in parte) i primi tre classificati delle sezioni Racconto breve e Poesia ed il primo classificato della sezione Racconto lungo

9) Non saranno resi pubblici i risultati prima della serata della premiazione

martedì 23 luglio 2013

Il cancro porta l'orologio?


Ho cominciato a scrivere questo blog perché volevo aiutare qualcuno a sentirsi meno solo ad affrontare la malattia. 
Io, quando mi sono ammalata, non ero sola ed è stato importantissimo. Così, come dovrebbe essere il mondo per funzionare un po' meglio, ho cercato di restituire ciò che avevo ricevuto.
Nel mio post http://esercitodelleamazzoni.blogspot.it/2012/05/scoprire-di-avere-un-nodulo-al-seno.html, vi ho raccontato di Marta, una giovane donna medico, che mi ha aiutata tantissimo quando mi sono ammalata.
Mi ha spiegato tutto quello che c'è da sapere, mi ha chiarito tanti dubbi, ha condiviso con me l'ardua lettura del mio istologico. Ha discusso e poi condiviso con me la decisione di affrontare la mastectomia dopo l'iniziale tumorectomia. Anche mio marito è stato importantissimo in tutte quelle fasi della malattia: l'unione di amore e di buoni cervelli per combattere la guerra contro il cancro. 
Ma nel caso di Marta, il suo contributo è stato speciale non solo perché lei ci era passata nel luglio del 2009, ma soprattutto perché non mi conosceva: ci siamo parlate decine di volte senza mai esserci viste in faccia. E abbiamo lentamente raggiunto un livello di confidenza e intimità rari. Ci siamo conosciute mesi dopo, il giorno in cui (sempre lei) mi ha prestato la sua bellissima parrucca. E da allora, non ci siamo più perse di vista. Siamo diventate vere amiche. Abbiamo allargato le nostre confidenze e intimità a tutta la nostra vita. Quando mi sono sposata, è stata lei la prima persona a cui ho consegnato l'invito a parteciparvi.

Sabato stavo venendo qui al mare, quel famoso posto di mare dove, nel luglio di due anni fa ho saputo di avere un tumore maligno al seno sinistro. Ci sono tornata l'anno scorso felice di esser viva. Ci sono tornata anche quest'anno. 
Dicevo, sabato ho provato a chiamare Marta. Eravamo d'accordo che sarebbe venuta a farsi qualche mezza giornata al mare. Lei lavora in un ospedale non distante da qui. Ieri mi ha richiamata. Stava tornando dallo IEO di Milano. Le hanno trovato una ciste di 5 cm ad uno ovaio. All'80%, dice, è maligno.

Da ieri sto rivivendo le stesse emozioni di due anni fa, mentre aspettavo, gli esiti dell'ago aspirato... 
Comincia a starmi antipatico questo posto. Fino a ieri lo affrontavo con lo spirito di chi vuole vedere sempre il mezzo bicchiere pieno, oggi comincio a pensare che qui colleziono troppe brutte notizie.


Penso in continuazione a Marta. Vorrei chiamarla in ogni momento. Vorrei essere nel taschino del suo camice per farla sorridere. La settimana prossima verrà operata. Tengo le dita incrociate. 

Mi chiedo inoltre se questo maledetto cancro porta pure l'orologio al polso visto che viene sempre a trovarci a fine luglio.

lunedì 24 giugno 2013

La luce non si spegne

Vi voglio raccontare una cosa che mi è accaduta oramai qualche settimana fa.
Tutto è cominciato di notte. Mi sveglio di soprassalto a causa di un incubo. Fin qui niente di strano. Mi capita spesso, purtroppo.
Accendo la luce per guardare l'ora: sono le cinque e trenta del mattino. Meglio continuare a dormire, mi dico. E spengo la luce. Che però non si spegne subito e diventa come incandescente, azzurra e bianca. Poi si spegne. Io rimango lì, con l'interruttore in mano, un po' perplessa e stupita. Non mi ricordavo che la mia lampada funzionasse così. Riprendo a dormire. Il mattino successivo mi sveglio e ripenso subito all'accaduto. Quindi riprovo ad accendere e spegnere la mia lampada più e più volte. Nulla. Questa si accende e spegne senza esitazioni, alla velocità della luce, appunto.
Così, un po' colpita da questo strano fenomeno, ne parlo a mio marito durante la colazione. Lui mi risponde che potrebbe essere un fatto fisico. Ok, metto via il pensiero.
Dopo pranzo, richiamo una amica, che mi aveva cercato qualche ora prima. Mentre compongo il numero sento che il motivo della sua telefonata è per comunicarmi che il fratello di una nostra conoscente comune è mancato. E infatti, così è. Rimango senza parole. Benché la situazione fosse grave, nessuno si aspettava di perderlo così velocemente. Come facevo a sapere il contenuto di quella telefonata se il fatto è accaduto in modo così inaspettato? Secondo me quello che è accaduto tra me e questa amica è un fenomeno riconducibile alla telepatia. Non è prima volta che mi capita di ricevere messaggi telepatici. Soprattutto con questa amica.
Ho chiamato poi questa persona a cui è mancato il fratello per farle le condoglianze. Le ho anche chiesto a che ora era successo, anche se una voce dentro mi diceva che la risposta l'avevo già. E infatti lei mi ha risposto: alle 5.30 del mattino.




martedì 28 maggio 2013

Perché mi è venuto il cancro? Parte II



Ieri ci siamo ritrovate per l'ultimo incontro di psicodramma. Riprenderemo a settembre. 
Questa esperienza dello psicodramma, vi ho già detto, mi è stata di grande aiuto.
Innanzitutto, è stato importante dimostrare a me stessa di essere in grado di prendermi cura di me, dedicandomi del tempo. E poi, grazie alla guida e allo spessore umano e culturale di Marta, la nostra psicoterapeuta, sto ritrovando la mia filosofia di vita, che indosso come fosse una bellissima collana di perline: ogni perlina rappresenta un piccolo passo verso la consapevolezza.

Mancano ancora perline a questa collana? 

Che ne manchino ancora non c'è dubbio. Anche se devo dire che sono abbastanza soddisfatta di me e del grado di consapevolezza che ho raggiunto in questi faticosi quarant'anni. Sarebbe proprio un peccato che, capite tutte queste belle cose preziose sulla vita, io debba uscire di scena proprio ora, no? :-) 

Detto questo, quali mancano?

Lo psicodramma mi sta facendo riflettere sul legame tra la malattia e il disagio interiore. Mi spiego: Marta crede profondamente che esista una relazione tra il cancro e il nostro malessere interiore. Ed io sono abbastanza d'accordo con lei. Nel senso che, in cuor mio, a livello di sensazione, ho sempre pensato, che i dolori della mia vita (che sono stati tanti, troppi), prima o poi avrebbero bussato alla porta sotto forma di malattia.

Detto questo, nel mio caso, però, la malattia è arrivata in uno dei momenti più belli della mia vita, cioè subito dopo la maternità. Quindi, alla domanda "perché ora?", io non so dare una risposta che mi soddisfi.
E a questa riflessione sulla asincronia del cancro rispetto ai miei disagi interiori, aggancio una ulteriore riflessione. Può un disagio interiore, da solo, provocare il cancro? Può un grosso lutto provocare il cancro? Possono uno o tanti dolori della vita provocare un cancro? 
E se la risposta fosse affermativa, quali sarebbero i dolori (oppure il dolore) che mi ha fatto ammalare?

Io non sono un medico ma credo fortemente che il cancro abbia una origine multifattoriale.  Cioè penso che la causa sia la somma di: predisposizione genetica, inquinamento ambientale, alimentazione e stress psico-emotivo.

Credere che il disagio interiore sia la causa unica del cancro può essere pericolosissimo. Fosse così, io oggi mi sentirei terribilmente frustrata perché la mia guarigione dipenderebbe non solo dalle cure mediche ma dalla mia capacità di autoanalisi. Perché se non capisco l'origine del disagio, potrei ammalarmi nuovamente, no?

Certo, se io credessi nel Karma, tutto avrebbe un senso e potrei quindi pensare che ciò che non capisco in questa vita, potrei capirlo in quella successiva (a tal proposito, sto leggendo alcuni libri di Daniel Meurois Givaudan). Al momento, però, la mia filosofia di vita non ha ancora fatto propria questa "visione". 
Anzi, ribadisco l'importanza di dare una informazione chiara sulle cause del cancro e su quali sono le cure ad oggi esperite. 





sabato 4 maggio 2013

Perchè mi è venuto il cancro? Parte I


Credo che tutte le persone che si sono ammalate di cancro si siano chieste che cosa lo abbia causato. 
Quando è capitato a me, ho pensato subito che fossero state le sigarette, poi ho scoperto che anche la gravidanza in età matura può esserne la causa. Infine ho anche pensato ad una questione genetica per via del mio povero bisnonno Pietro, morto di cancro alla gola più o meno alla mia età. 

Ovviamente ho smesso di fumare. Per quanto riguarda l'alimentazione, a me pare di essere sempre stata una che mangia discretamente bene (zero fritti, pochissima carne) ma, dopo aver letto qualche testo sull'argomento, ho deciso di inserire nella mia dieta pasta integrale e molti più legumi e cereali. Ho praticamente azzerato l'alcool. Dieta che ben si concilia anche con le esigenze di mio marito che è diabetico. Quindi in famiglia siamo tutti felici. Per quanto riguarda gli zuccheri, cerco di limitarmi ma senza frustranti rigidità e, al posto dello zucchero, uso il succo di agave. Ora, tutto questo servirà a diminuire le probabilità di ammalarmi nuovamente? Forse sì o forse no.
Onestamente, penso che una sana alimentazione aiuti senza dubbio a vivere meglio la giornata. Poi, se ha effetti sul mio stato di salute futuro, non lo so. E comunque, bisogna prendere queste indicazioni con un certo distacco, altrimenti si rischia di diventarne schiavi. Ad esempio, è noto che il the verde e i cavoli abbiano proprietà antiossidanti e quindi anti-cancro. Ma è appena uscito uno studio di un premio Nobel, James Watson, che dimostra come, per sconfiggere un cancro metastatico, sia necessario eliminare gli antiossidanti http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=12834. Ora, provo a pensare a tutte quelle persone che si son bevute litri e litri di the verde, proprio per le sue note proprietà antiossidanti. Che diranno? 
Oppure penso al classico consiglio del medico di famiglia di bere un bicchiere al giorno di vino come terapia cardio-protettiva. Anche qui esistono studi che dimostrano una forte correlazione tra il tumore al seno e l'assunzione di vino, anche in modeste quantità http://www.italiasalute.it/news.asp?id=1317 e altri studi che invece dimostrano il contrario http://gaianews.it/attualita/vino-rosso-riduce-rischio-di-tumore-al-seno-16327.html#.UYU-iKIxG1s

Quindi?


martedì 26 marzo 2013

La stanza rosa

Sabato sera ho avuto l'onore di portare la mia testimonianza sulla stanza rosa alla festa organizzata a favore dello IOV presso il centro culturale San Gaetano di Padova.
Riporto qui di seguito il mio discorso. 




Buonasera,
mi chiamo Elisa, ho 41 anni e il 14 gennaio scorso ho terminato le terapie presso la stanza Rosa dello IOV. 
Le avevo iniziate a ottobre 2011.
Sono qui a portare la mia testimonianza ma so che le mie parole sarebbero anche quelle  di Maura, Mariangela, Daniela, Chiara, Paola, Rosetta, Silvia, Akima, Serenella, Barbara. Sono le mie sorelle, socie, amiche, compagne di viaggio…
Quando mi sono ammalata di cancro le due più grosse preoccupazioni sono state mio figlio e la chemioterapia.  Mio figlio aveva un anno e mezzo e tanto bisogno delle cure di una mamma. Per quanto riguarda la chemio, invece, mi immaginavo le cure come una sorta di Inferno dantesco. Mi chiedevo se sarei stata in grado di arrivarne alla fine viva.
Il primo giorno di cure lo ricordo come si ricorda il primo amore o l’esame di maturità: è tutto lucido nella memoria. Ero terrorizzata. Alla fine di un lungo corridoio mi è venuta ad accogliere Deborah, uno degli angeli della stanza rosa. Mi ha sorriso con una dolcezza infinita e mi ha fatto accomodare dentro una piccola stanza coccolissima, con le pareti colorate, i quadri appesi. C’è persino uno specchio con un barattolo di cosmetici. Vicino alla finestra coperta da una tenda  in tulle colorato, c’è una pianta. Poche poltrone arancioni  e comode occupano la parete di destra mentre a siniistra c’èun carrello per le medicazioni e un pc che per ascoltare la musica. Vicino a me era seduta un’altra donna più o meno della mia età. Si chiama Rosetta. Siamo state compagne di viaggio ancora per un po’ e ora siamo amiche per sempre. Quel giorno chiacchierammo tantissimo e quasi non mi accorsi che stavo facendo la mia prima terapia.
Da quel momento in poi non ho più avuto paura delle terapie, nonostante alcuni episodi di allergia ai farmaci della chemio non proprio banalissimi.  Ho affrontato il percorso di cura con grande serenità, sentendomi protetta  e soprattutto con tanta voglia di stare con i miei angeli e le mie compagne di avventura .
Non ho mai vomitato durante le terapie. Incredibile perché a me, di solito, basta pochissimo. Sicuramente dipende dagli ottimi antiemetici che ci hanno messo a disposizione ma senza dubbio dipende anche dal mio stato d’animo durante le terapie.
Perché, vi sembrerà incredibile, ma noi in stanza rosa abbiamo anche riso alla grande.  Difficile immaginare delle donne sotto flebo con una diagnosi fresca di cancro che ridono e scherzano, vero? Il dramma non è meno grave se ridiamo ma ridere ci aiuta a superare il panico che si prova davanti ad un problema come il nostro.
Ebbene, nella stanza rosa si riesce a ridere. Ci si scambia anche ricette, consigli, ci si confronta sui propri percorsi terapeutici, si progettano matrimoni, si ascoltano e raccontano storie di vita. A volte si piange. A volte si fa anche silenzio quando capita in stanza una di noi che sta più male del solito o che semplicemente non ha voglia di parlare.
E ora vi sconvolgerò ancora di più nel dirvi che per me e per molte delle donne che ho citato prima, la stanza rosa è stata una casa che ora ci manca un po’.
A fare la forza della stanza rosa sono anche e forse soprattutto le persone che la frequentano e il loro spirito di gioia nonostante le avversità. Perché è bello vivere e nessuno lo sa meglio di noi e di chi lavora per noi e con noi.
Sto parlando quindi di noi ma anche di loro, i nostri angeli custodi, le infermiere Paola, Monica, Cinzia, Deborah. Ci accolgono sempre con un sorriso, sono attentissime a non farci sentire quel maledettissimo ago che entra dentro la pelle.  Ci abbracciano, ci coccolano, ci consolano. Io credo sia difficilissimo stare tutto il giorno con dei malati oncologici e riuscire a mantenere alto lo spirito e il sorriso. Loro ci riescono .
Percorrendo  il corridoio che ci porta alla stanza rosa, mi sono chiesta più volte come mi sarei sentita a tornare qui a causa di una recidiva o di una metastasi. Sarei stata ancora di buon umore, ottimista?  Probabilmente no. Mi mmagino allora come potrei sentirmi arrabbiata nel tornare in un posto così difficile, se poi è anche freddo e poco accogliente.
Concludo, auspicando che tutti i malati di cancro potranno presto essere fortunati come me, come noi,  e avere anche loro la propria stanza rosa, azzurra, lilla… … Perché è impossibile riuscire a chiacchierare in uno stanzone grande e dispersivo – impossibile passarsi le ricette, impossibile ascoltarsi con il cuore, impossibile essere positivi.
Grazie

lunedì 25 febbraio 2013

Una fratellina di nome Laura

 
 
Da settimane mio figlio parla della sua fratellina Laura oppure del fratellino Jhonny. Ma Renato, mio figlio, è figlio unico. Non credo che lui sappia esattamente cosa significhi il temine fratello o sorella. Probabilmente per lui è sinonimo di amico stretto. Ma per me no ed ho cominciato a riflettere su qualcosa che mi sembrava di aver già deciso.
Ho quarantuno anni appena compiuti. Una diagnosi di cancro a trentanove e qualche dubbio ancora sulla mia decisione di lasciare Renato figlio unico.
Mi chiedo innanzitutto quanto la mia malattia pesi nella mia decisione di non avere altri figli. E sì. Forse, se non mi fossi ammalata mi sentirei più libera di avere un altro bimbo. Perchè il pensiero che faccio è questo: perché lasciarne due da soli? Eppure una mia cara amica, ha mosso qualcosa dentro di me, quando condividendo con lei la riflessione, mi ha risposto: "proprio perché ti sei ammalata, è opportuno che pensi a lasciare tuo figlio in compagnia di un fratello".
Comunque sia, quarantuno anni sono tanti, troppi, per affrontare un'altra gravidanza. Non mi piacciono queste mamme tardone (di cui faccio parte) che rischiano di essere a carico dei figli ventenni...
Io sto pensando anche ad altre strade per dare un fratello a Renato. Penso all'adozione oppure ad un affidamento. Soprattutto quest'ultimo mi interessa. Perché nella mia esperienza di vita so che anche pochi momenti buoni possono essere una risorsa importante per ritrovare se stessi quando ci si perde. E nella vita capita di perdersi, soprattutto quando non si è amati...
Sempre la mia amica saggia, quando le ho parlato della mia idea di mettermi a disposizione per ospitare un bimbo in affidamento, mi ha ricordato che è una strada difficile e che Renato potrebbe pagare a caro prezzo la mancanza di serenità che spesso si accompagna a questi bambini allontanati dalla famiglia di origine....
In tutte queste riflessioni, si aggiunge la menopausa che comincia a farsi sentire (ricordo che io non prendo pastiglie/farmaci per la menopausa) e qualche difficoltà nel mio matrimonio...
Tutto sembra dire che questo fratello per Renato non ha da venire.... spero tanto di non pentirmene troppo in futuro.

lunedì 21 gennaio 2013

Il commiato

Lunedì scorso, 14 gennaio 2013, ho terminato tutte le terapie.
Le avevo iniziate ad ottobre 2011: un anno e 3 mesi fa. Come è passato veloce questo tempo... E per questo devo ringraziare soprattutto mio figlio che con la sua gioia di vivere e il suo sorriso è la più bella distrazione dalle mie difficoltà.
La visita con la dott.ssa Ghiotto è andata bene. Questa donna ha una fortissima capacità di empatia con me (e credo con la maggior parte delle sue pazienti). A volte ho pensato che lei sapesse leggermi nel pensiero perchè è capitato spesso che rispondesse ai miei dubbi e ai  miei quesiti prima ancora che io li formulassi. E' una donna rara, capace di grande umanità sapendo però mantenere quel doveroso distacco che le permette di fare così bene il suo mestiere...
E' stato bello il nostro commiato. Le ho detto alcune delle cose che ho appena scritto qui e poi, dopo essermi sentita dire che da ora in poi non avrei più frquentato quelle stanze e quelle al piano di sopra (dove si fanno le terapie), mi sono fatta forza e le ho posto quella domanda che periodicamente ritorna a galla, nonostante i miei vani tentativi di svuotarla di significato. Mi devo considerare ancora una malata oncologica? Quante probabilità ho di riammalarmi? Ecco, finalmente ce l'ho fatta.
Lei mi ha risposto con la sua solita gentilezza, tranquilizzandomi sulla correttezza e anche sulla necessità di questa domanda.
Ho pianto. Pianto davanti alla mia oncologa e ho pianto, nascondendomi il viso, in uno dei corridoio dello IOV. Un pianto di stanchezza emotiva, credo.
Noi malati oncologici ( perchè quel cavolo di numero basso, ma non trascurabile, conferma il mio stato), siamo soli davanti alla nostra  malattia. I nostri cari non possono capire, per quanto possano provarci. Solo tra noi (soci, aggiungerebbe Maura) possiamo capirci. Ma il calvario rimane. In tutto il suo peso, da caso a caso.
Un grazie immenso alle infermiere della Stanza Rosa: Cinzia, Deborah, Monica, Paola. Siete degli angeli. Spero non mi "bucherete" più ma se dovesse essere, voglio voi!!!!!
Grazie anche alle ragazze della segreteria che vedendo sui documenti che era la mia ultima infusione si sono a loro volta accomiatate. 
Grazie allo IOV. Ci vediamo tra quattro mesi per i prossimi controlli.


venerdì 30 novembre 2012

La scoperta dello psicodramma


Da mesi la mia amica Maura mi parlava degli incontri di psicodramma organizzati tramite lo IOV. 
La vedevo entusiasta e quindi, a settembre, ho accettato con piacere l'invito a parteciparvi, anche se non avevo capito ancora bene di cosa si trattasse.
Ora che sono qui a parlarne anch'io, capisco che non è affatto facile spiegare che cosa è lo psicodramma perchè esso è mille e piu cose insieme. Potrei dirvi che si tratta di una tecnica di psicoterapia di gruppo ma questa definizione, benché corretta, non è completa. Preferisco quindi rimandarvi ad una una buona definizione che ho trovato su wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Psicodramma



La regista di questo gruppo a cui ora appartengo anch'io, è una neuropsichiatra di grande esperienza e bravura, oltre che di grande spessore umano. Si chiama Marta. Ha voluto avere un colloquio con me prima di farmi entrare nel gruppo. E sono rimasta folgorata da lei, dal suo acume e mi pare si sia creata immediatamente una ottima intesa con lei.

Molte mie amiche che hanno il problema del tumore al seno, sono ricorse ad un'altra forma di sostegno: la psicoterapia. Lo IOV, tra le tante cose, mette a disposizione anche questo servizio. Io, però, ho preferito evitare.
Dai 17 ai 30 anni ho fatto tanta psicoterapia ed ora, nonostante il cancro, sento che non ho nessuna intenzione di rimettermi in poltrona ad analizzare la mia vita. L'ho già fatto e ora voglio guardare all'oggi e al domani e non più ad un passato che ho stra-analizzato e che ora guardo da lontano. In più, gli strumenti di autoanalisi li ho imparati e li uso bene. Ciò non toglie che ho bisogno di aiuto.



Lo psicodramma è una forma di aiuto a mio parere diversa. E per me è perfetta. Credo sia l'esperienza (extra-familiare) più bella e gratificante di questi ultimi anni perché non solo mi fa stare bene ma anche mi permette di esprimere tutta me stessa come mai è accaduto prima e altrove. 
Ed è come se le esperienze raccolte nella mia vita (la psicoterapia, la danza, gli scout) mi tornassero tutte utili come strumento di espressione di tutta me stessa, del mio conscio e anche del mio inconscio.

Nel mio gruppo siamo tutte persone con problemi di salute (non solo cancro...) e quindi avviene uno scambio umano di emozioni, esperienza e riflessioni sulla vita legata alla malattia che è unico e prezioso.
Io sento e capisco profondamente ciò che provano le mie compagne di gruppo. E ascoltarle mi aiuta a capire meglio me stessa. 

Ma come funziona una seduta di psicodramma? Tutto si svolge in uno spazio limitato da un cerchio di tessuto.
Ogni volta la seduta ha contenuti diversi ma comincia sempre con una riflessione personale sulla settimana trascorsa e prosegue con una serie di giochi/attività che permettono alla nostra parte inconscia di esprimersi attraverso immagini, danze, visualizzazioni. Poi ci si stende dentro il cerchio e si cerca di capire quale messaggio inconscio questa attività ha stimolato...
Dopodiché, il gruppo sceglie la persona che, in quella seduta, sarà protagonista del dramma  e mette in scena una parte della propria vita, partendo proprio dal messaggio inconscio venuto a galla durante la seduta. E così ogni partecipante, insieme  al protagonista che guida gli attori come un regista, interpreta un personaggio della vita del protagonista. Qualche tempo fa è stato il mio turno.
Vedere gli ultimi tre anni della mia vita, rappresentati come fossi a teatro a vedere una tragedia di Euripide mi ha toccato profondamente. Ho potuto guardarli, toccarli, scrutarli con distacco e attaccamento insieme e loro mi hanno parlato. Eh sì, eccome se mi hanno parlato...

Un'emozione pazzesca. Un insegnamento importante. Un'ottima terapia.



Se volete partecipare anche voi, sono attivi due gruppi a Padova. Potere chiamare la dott.ssa Marta Giacon al 347.2767066.





venerdì 19 ottobre 2012

Una questione di ormoni?

Scrivo dallo IOV. Sono in attesa di fare la mia infusione periodica di Trastuzumab.
Della persona forte e sorridente che entrava in questo posto nei mesi scorsi oggi non ho portato nemmeno una sua unghia. Al povero oncologo che mi ha visitato ho regalato solo poche parole e lunghi sguardi perforanti che potevano essere tradotti in un unico modo: "sono incazzata nera, non mi rompere i coglioni!".
Non mi piaccio così. Eppure da qualche settimana questo è l'andazzo. E per quanto io cerchi di raddrizzarmi, mi sento come un fiore con lo stelo piegato. Cosa è successo?
Anni e anni di psicoterapia mi hanno aiutato a tentare una risposta a questa domanda.
Qui di seguito riporto un elenco di motivi che spero abbiano anche un effetto terapeutico :-)
1. Sono tornate le mestruazioni e ciò significa che i miei ormoni sono tornati in circolo. Il mio umore e i miei ormoni evidentemente stanno litigando.
Che posso fare per farli dialogare?
Yoga e una buona alimentazione possono aiutare?



Forse...
2. Ho paura. Il mio tumore non è ormonosensibile. E già questa cosa mi fa incazzare di per sé. E se non fosse così? Cosa succederà ora dentro di me che gli ormoni hanno ripreso il loro lavoro?
3. Sto prendendo coscienza che il mio tumore è cattivello. È vero che ora non c'è più ma so che il mio corpo potrebbe produrre in modo sistemico cellule tumorali.
4. Ora che ho alle spalle la chemio e l'intervento e ho deposto lancia e scudo, mi sento nuda davanti alla mia malattia. È arrivata l'ora che io ci faccia più di qualche chiacchierata.
5. Mi dico che avrei tutto il diritto di essere arrabbiata per quanto mi è successo. In tre anni ho dovuto fare i conti con la morte di Marco e il mio tumore. Ma il mio spirito, la mia anima, non è arrabbiata per questi motivi. Non so come spiegarlo. Io non mi sento come la blogger Amazzone furiosa. I miei sentimenti sono proprio di matrice diversa. Penso infatti che la malattia faccia inevitabilmente parte della vita e che nessuno acquisisca alla nascita il diritto di vivere a lungo.
Eppure oggi sembro proprio arrabbiata...!??

Mi hanno chiamato per la terapia.

Bye bye.